Τα αποσπάσματα είναι από ένα πολύ ενδιαφέρον κείμενο που περιλαμβάνεται σε ένα πολύ ενδιαφέρον βιβλίο!
L. Moccia, Rifflessioni sparse (e qualche involontario aforisma) su interpretazione e diritto, in:
Il segno, il linguaggio e l'interpretazione. Il diritto dialoga con l'arte, la letteratura, la religione (a cura di M. Nuzzo, A.M. Palmieri, F. Petrillo, F.P. Traisci), eurilink, Roma 2014, p. 181.
"L'interpretazione del diritto è tema arduo, uno dei più ardui, da affrontare: se e nella misura in cui il diritto è, ancora, ars boni et aequi.
La ragione di ciò sta nel fatto che, forse, il diritto nemmeno esiste, prima e fuori della (di una) interpretazione.
Parrebbe come se il tema (problema) della interpretazione del diritto si identifichi e confonda con il modo stesso di essere del diritto: così che diritto e interpretazione non sarebbero termini (concetti) separabili, per quanto possano essere distinti o disntinguibili; ma che il primo si compenetri nel secondo.
Come se, quindi, il diritto sia, sempre e comunque, interpretazione.
Il rapporto diritto/interpretazione non è lineare. Il diritto non viene prima dell'interpretazione, che segue.
La legge, semmai, come pura e semplice espressione verbale/testuale può stare prima della (di una) attività interpretativa.
Anzi, più di una volta, dall'antichità ai giorni nostri, la legge o, meglio, il legislatore ha preteso di porsi al di sopra e al di là di ogni interpretazione: intendendo il legislatore come titolare (in proprio o per mandato) di una volontà sovrana massima e la legge come espressione auotoritativa di tale volontà.
Ma, ogni volta, si è dovuto prendere atto che la legge non è ancora il diritto; e, di più, che il diritto non si esaurisce solo nelle e con le leggi. A cominciare da quelle stesse leggi che, come detto, più volte nel corso della storia hanno voluto vietare o limitare l'interpretazione da parte dei giudici: prendendo a pretesto, in particolare, la 'certezza del diritto'."
L. Moccia, Rifflessioni sparse (e qualche involontario aforisma) su interpretazione e diritto, in:
Il segno, il linguaggio e l'interpretazione. Il diritto dialoga con l'arte, la letteratura, la religione (a cura di M. Nuzzo, A.M. Palmieri, F. Petrillo, F.P. Traisci), eurilink, Roma 2014, p. 181.
"L'interpretazione del diritto è tema arduo, uno dei più ardui, da affrontare: se e nella misura in cui il diritto è, ancora, ars boni et aequi.
La ragione di ciò sta nel fatto che, forse, il diritto nemmeno esiste, prima e fuori della (di una) interpretazione.
Parrebbe come se il tema (problema) della interpretazione del diritto si identifichi e confonda con il modo stesso di essere del diritto: così che diritto e interpretazione non sarebbero termini (concetti) separabili, per quanto possano essere distinti o disntinguibili; ma che il primo si compenetri nel secondo.
Come se, quindi, il diritto sia, sempre e comunque, interpretazione.
Il rapporto diritto/interpretazione non è lineare. Il diritto non viene prima dell'interpretazione, che segue.
La legge, semmai, come pura e semplice espressione verbale/testuale può stare prima della (di una) attività interpretativa.
Anzi, più di una volta, dall'antichità ai giorni nostri, la legge o, meglio, il legislatore ha preteso di porsi al di sopra e al di là di ogni interpretazione: intendendo il legislatore come titolare (in proprio o per mandato) di una volontà sovrana massima e la legge come espressione auotoritativa di tale volontà.
Ma, ogni volta, si è dovuto prendere atto che la legge non è ancora il diritto; e, di più, che il diritto non si esaurisce solo nelle e con le leggi. A cominciare da quelle stesse leggi che, come detto, più volte nel corso della storia hanno voluto vietare o limitare l'interpretazione da parte dei giudici: prendendo a pretesto, in particolare, la 'certezza del diritto'."
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